Medici a chiamata, riorganizzazione dell’offerta territoriale e necessità di nuove norme per l’impiego ottimale dei servizi di telemedicina

L’intervista del presidente Giovanni Migliore pubblicata su Il Messaggero lunedì 13 gennaio 2025

Sui medici che lavorano a chiamata, Giovanni Migliore, presidente della
Fiaso (Federazione italiana Aziende sanitarie e ospedaliere), non ci gira
intorno: «Non possiamo pensare di tenere aperti servizi senza il
personale necessario».
Non c’è alternativa?
«Se ho bisogno di tenere aperto un determinato servizio in una località
e non riesco per mancanza di personale, o chiudo il servizio oppure
trovo qualcuno che me lo venga ad assolvere».
Allora i medici “a chiamata” serviranno sempre?
«Per superare questo limite, è necessario riorganizzare la rete
dell’offerta. Pensiamo ai punti nascita: ancora oggi abbiamo una
parcellizzazione con punti nascita sotto standard, cioè con nati al di
sotto dei 500, che dobbiamo tenere allineati a quelli che sono i requisiti
minimi, ossia la presenza del pediatra-neonatologo in sala parto,
magari per un parto ogni mese. Noi comunque in quel punto nascita
uno specialista lo dobbiamo mettere. Lo stesso vale per alcuni pronto
soccorso che hanno un numero di accessi limitato. Tenerli aperti ci
obbliga a uno sforzo per reclutare il personale necessario».
Non costerebbe meno assumerli?
«Moltissime aziende hanno fatto selezioni che sono andate deserte,
non hanno sortito l’effetto del reclutamento del personale. L’alternativa
sarebbe lo snellimento delle procedure. Se devo fare una selezione e ci
impiego 6 mesi e il numero dei partecipanti è inferiore al numero dei
posti messi a concorso, non risolvo il problema».
Come fare allora?
«Occorre creare reti. Penso per esempio alla continuità assistenziale e
alla rete dell’emergenza urgenza. Ma anche alle risorse tecnologiche e
quindi alla digitalizzazione. Oggi, per esempio, utilizziamo queste forme
di lavoro precario con professionisti contrattualizzati con contratto
libero professionale per servizi come la diagnostica per immagini, che
rispetto a 15 anni fa è basata su servizi digitali. Si potrebbero quindi
concentrare i punti di refertazione. Ma siamo ingessati da una
normativa che non ci consente di sfruttare appieno le opportunità
date dalle nuove tecnologie».
Bisogna accorpare sempre di più quindi?
«Concentrare le risorse, significa assicurare standard di sicurezza più
elevati. Avremo professionisti che maturano una esperienza maggiore.
Vivono in un ambiente in cui c’è uno scambio di competenze
reciproco, si sentono più rassicurati perché si possono confrontare
sullo stesso caso. E il paziente può riuscire ad avere una prestazione di
più elevato livello».
È un obiettivo fattibile ovunque, e a breve?
«Ripeto, bisogna avere il coraggio di organizzare il tema dell’offerta dei
servizi. Si tratta di una direzione intrapresa anni fa, sulla quale bisogna
tornare ad insistere. Occorre però rinunciare a un po’ di corporativismo
da parte della classe medica».
Graziella Melina

Questo articolo è stato pubblicato in Press room, Rassegna STAMPA